Collezioni in dialogo
Collezioni in dialogo

Collezioni in dialogo

Un capolavoro del Museo Archeologico Nazionale di Firenze raccontato dai Musei Vaticani

3 ottobre 2019 - 27 febbraio 2021
Sala I, Museo Gregoriano Egizio

Dopo il Museo Egizio di Torino non poteva essere che il Museo Archeologico di Firenze, con la sua Sezione egizia (seconda per importanza in Italia solo a quella del museo piemontese) il protagonista del nuovo appuntamento con le “Collezioni in dialogo”: l’iniziativa espositiva, che ha preso il via lo scorso anno, per rinnovare la consolidata politica di apertura culturale dei Musei Vaticani con le più importanti istituzioni museali egittologiche, nazionali e internazionali.
“Ogni collezione museale è uno spazio di dialogo – sottolinea il direttore Barbara Jatta – e per questo abbiamo deciso di consacrare dei luoghi privilegiati per evidenziare la ricerca come momento di dialogo in tutte le sue accezioni”.

A partire dal 3 ottobre, la Sala I del Museo Gregoriano Egizio, dopo aver accolto la statua in granito del faraone Amenhotep II, ospiterà un altro importante e iconico reperto, concesso in prestito appunto dalla collezione egizia del Museo Archeologico Nazionale di Firenze.
Si tratta di un rilievo funerario, in calcare dipinto, proveniente dalla tomba di un alto dignitario di nome Ptahmose che iniziò la sua carriera alla corte del faraone Sety I e proseguì sotto il figlio Ramesse II (XIII sec. A.C.).
L’avvicendamento tra i due capolavori sposta l’attenzione dall’iconografia dell’offerta alla divinità – rappresentato dal prestito torinese – a quella dell’offerta funeraria, che celebra la sopravvivenza del defunto nell’Aldilà attraverso il suo passaggio dalla dimensione terrena a quella oltremondana.

La tomba di Ptahmose era nota già dall’inizio del XIX secolo. Tuttavia cadde nell’oblio, sepolta dalla sabbia, non prima di essere, purtroppo, preda di numerosi saccheggi.
Fu nuovamente identificata nel 1859 da Auguste Mariette, ma dovette attendere il 2010 per essere definitivamente “riscoperta” e “studiata” grazie agli scavi dell’Università del Cairo.