Un baldacchino "di gusto cinese" ed il cardinale Annibale Albani
Un baldacchino "di gusto cinese" ed il cardinale Annibale Albani

Un baldacchino "di gusto cinese" ed il cardinale Annibale Albani

Giovedì 22 settembre 2016, ore 16.00
Sala Conferenze, Musei Vaticani

La nuova stagione de Il Giovedì dei Musei sarà inaugurata il 22 settembre, alle ore 16.00, da un incontro dedicato al prezioso Baldacchino di Magliano Sabino, “trono nobile di velluto ricamato alla cinese”, che nel 1737 fu donato alla diocesi dal cardinale Annibale Albani. Il focus degli interventi sarà il restauro a cui è stato sottoposto il raro ed importante arredo tra il 2009 e il 2012.
Ad introdurre la conferenza il prof. Antonio Paolucci, Direttore dei Musei Vaticani, che lascerà poi la parola ai relatori: Alessandra Rodolfo, curatore del Reparto Arazzi e Tessuti dei Musei, Barbara Fabjan, già funzionario del MiBACT, e le restauratrici Barbara Santoro e Zahra Azmoun.

Anticipiamo un estratto dell’intervento di Barbara Fabjan, direttrice del restauro del “baldacchino” e curatrice del volume Il baldacchino “di gusto cinese” di Magliano Sabina e il cardinale Annibale Albani, Gangemi Editore:

Il baldacchino per cattedra episcopale di Magliano Sabina (Rieti) fu segnalato per la prima volta da Mariano Guardabassi in occasione delle ricognizioni effettuate nell’allora Provincia umbra per conto della Commissione artistica governativa nel 1866, subito dopo l’unità d’Italia. Nel suo Indice-Guida (1872) lo studioso perugino lo descriveva come “Paramento di trono d’un dignitario cinese regalato alla Cattedrale dal cardinale Albani nel 1737; rara opera condotta su velluto cremisi con finissimi raccami in oro, argento e seta”.
Nel più antico inventario della cattedrale il baldacchino è descritto come “trono nobile di velluto rigamato alla cinese” con una indicazione che colloca il parato nell’ambito di quel gusto per l’esotismo che dalla seconda metà del Seicento aveva cominciato ad invadere l’Europa, riflettendo il fascino dei lontani paesi di Oriente e d’Occidente. I diari dei viaggi nell’immensa Asia, le relazioni dei missionari, la descrizione di popoli diversi, narrati nel loro modo di vivere, dagli abiti alle costruzioni, all’organizzazione della vita religiosa, politica e sociale erano ampiamente diffuse e le immagini che illustrano queste pubblicazioni studiate e riprodotte.
Il lungo e delicato restauro condotto tra 2009 e 2012 da Barbara Santoro e Zahra Azmoun per la Soprintendenza per i beni storici, artistici ed etnoantropologici del Lazio con la direzione di Barbara Fabjan, ha permesso di stabilire che il baldacchino è frutto del rimaneggiamento di un precedente manufatto nato originariamente per l’arredamento di una dimora principesca, escludendo una finalità liturgica. Il dossale avrebbe potuto ben costituire il capoletto di un “lit d’ange”, il letto da cui i personaggi di rango usavano ricevere gli ospiti nel corso del sec. XVII (R. Orsi Landini). Il letto da parata era l’elemento d’arredo più importante di tutto l’ambiente ed i tessuti con cui veniva realizzato erano di solito materiali estremamente ricchi in seta, oro e argento.
Le decorazioni, come nel nostro caso, erano spesso ottenute mediante ricami ad applicazione, cioè realizzati con varie stoffe ritagliate secondo un disegno, cucite su un supporto pregiato come velluto o raso, e rifiniti con cordoncini di seta o d’oro. I tessuti qui utilizzati, provenienti da capi d’abbigliamento dismessi, si caratterizzano per essere tessuti di seta molto ricchi, cioè tutti lavorati a telaio con trame broccate o lanciate – o a ricamo con fili d’argento o d’oro: prova evidente dell’importanza delle “guardaroba” da cui provenivano.
La fattura di questo arredo è manifestamente opera di una bottega di ricamatori altamente specializzata, che a Roma poteva trovare una fonte di approvvigionamento per i tessuti nel Ghetto, famoso per l’attività di “cenceria”.
Attualmente il baldacchino è depositato presso la Curia vescovile di Poggio Mirteto.