Alberto Burri, Natura morta; Catrame II
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Alberto Burri, Natura morta; Catrame II
Burri inizia a dedicarsi alla pittura verso la metà degli anni ‘40, realizzando piccoli paesaggi e nature morte, siglati da una marcata sensibilità per le qualità fisiche dei colori. La Natura morta delle collezioni vaticane è un raro esempio di questa breve fase, a cui segue tra il 1948 e il ’49 una deviazione netta verso esperimenti informali volti a sviluppare le potenzialità espressive della materia. L’interesse di Burri è quello di scardinare le normali procedure del dipingere, tentando nuove combinazioni: inizia così a miscelare i pigmenti ad olio a catrame, vinavil, cementite. Catrame II è uno dei primi esempi di questa ricerca, che l’artista approfondirà confrontandosi coi più diversi materiali. Oltre ai famosi “sacchi” di juta, userà plastiche, legni, cellotex, ferri, ampliando progressivamente le dimensioni delle sue creazioni fino a realizzare, tra il 1984 e l’89, il Grande Cretto di Gibellina: ricostruzione monocroma delle vie del paese raso al suolo dal terremoto nel 1968, ottenuto usando le macerie.