Restauro e restituzione dell'immagine
Restauro e restituzione dell'immagine

Restauro e restituzione dell'immagine

Il caso del "San Giovannino" di Úbeda attribuito a Michelangelo

Giovedì 12 giugno 2014, ore 16.00
Sala Conferenze, Musei Vaticani

Spetta all'Opificio delle Pietre Dure e Laboratori di Restauro di Firenze il grande merito di aver restaurato e ricostituito i 17 frammenti marmorei della statua del San Giovannino di Úbeda, opera giovanile di Michelangelo.
Il Giovedì dei Musei del 12 giugno, alle ore 16.00, rappresenta quindi un'occasione unica per ripercorrere e la storia e le fasi di questo esemplare intervento di recupero.
L'incontro, dal titolo "Restauro e restituzione dell'immagine: il caso del San Giovannino di Úbeda attribuito a Michelangelo", vedrà avvicendarsi al tavolo dei relatori il Soprintendente Marco Ciatti, il Direttore del Settore di Restauro dei Materiali Lapidei, Maria Cristina Improta, e le restauratrici interne, Paola Lorenzi e Franca Sorella.

Ad anticipazione della conferenza pubblichiamo l'articolo per la rivista di restauro "Kermes" a firma di Maria Cristina Improta:

Sul volgere della fine del 1994 sono arrivati all'Opificio delle Pietre Dure diciassette frammenti marmorei appartenenti a quella che fino al 26 luglio 1936 era la statua del San Giovannino di Úbeda, pubblicata nel 1930 da Arsenio Gomez Moreno come opera giovanile di Michelangelo, una attribuzione recentemente riproposta da Francesco Caglioti sulla base di confronti stilistici e di indagini documentarie di contesto.
Quella data, infatti, segna la fine dell'integrità della scultura, posta nella nicchia a sinistra dell'altare della Cappella del Salvatore a Úbeda: quel giorno, infatti, la statua fu ridotta in pezzi dalla furia iconoclasta dei Repubblicani, durante la Guerra Civile spagnola insieme alle altre sculture sovrastanti l'altare, fatta eccezione per quella del Salvatore del retablo di Alonso Berruguete, posta più in alto e quindi inaccessibile. Dopo gli accordi opportunamente presi tra il Duca di Segorbe, proprietario della Cappella e l'allora soprintendente Giorgio Bonsanti, i frammenti sono arrivati a Firenze e dal quel momento si sono susseguite ipotesi di montaggio e varie progettualità.

Corre l'obbligo ricordare, a questo proposito, il piano messo a punto da Annamaria Giusti nel 2000 con Giorgio Accardo, direttore del Laboratorio di Fisica e controlli ambientali dell'Istituto Centrale per il Restauro di Roma, con le tecniche digitali 3D, ma che mancando del supporto imprescindibile di una completa ricognizione fotografica, produsse un modello in scala 1:4, molto lontano a dire il vero dalla realtà. È stato possibile dare inizio all'intervento di ricostituzione solo nel 2011, grazie a Francesco Caglioti che ha contemperato in maniera assolutamente esemplare gli interessi di anni di studio approfondito su questa scultura con le necessità conservative. Si deve a Caglioti infatti il ritrovamento presso la fototeca del Kunsthistorisches Institut di Firenze di alcune foto della statua antecedenti al luglio del 1936. Con queste fotografie e grazie al rapporto già stabilito l'anno precedente con la ditta UNOCAD di Altavilla Vicentina, il lavoro ha cominciato a decollare.

Dopo il rilievo dei frammenti, da cui ne sono stati opportunamente estrapolati tre evidentemente erratici, e la realizzazione del rilievo 3D, si è passati alla fase della prototipazione in nylon e vetro. Premesso che era necessario, sulla base delle scelte metodologiche concordate dal consiglio scientifico (Marco Ciatti, Giorgio Bonsanti, Francesco Caglioti, Cecilia Frosinini, Maria Cristina Improta) che le parti contemporanee aggiunte fossero assolutamente riconoscibili e ritrattabili, lo stesso materiale delle prototipazioni doveva essere inerte, sia da un punto fisico che chimico, rispetto a quello originale. Il punto di maggior difficoltà nel montaggio era rappresentato dal bacino (ca. 30 kg.) che ha comportato la realizzazione di una complessa struttura di metallo con una piastra d'acciaio.

Le prototipazioni sono state montate con l'uso di magneti, in modo da garantire in qualsiasi momento uno smontaggio in tempo reale. Le stesse sono state rilavorate con la polyphilla, un gesso sintetico, su cui successivamente sono state eseguite delle patinature, per ammorbire e abbassare il contrasto tra integrazioni e parti originali. La testa del Santo, il più rappresentato nella storia dell'arte occidentale, è quella che maggiormente allude, nelle carbonizzazioni del frammento con gli occhi fortunatamente intatti, agli orrori di quella giornata d'estate del 1936. Le vistose tracce di fuoco sono state abbassate dopo la pulitura con un controllatissimo laser: invece non si è potuto far niente per il modellato, molto penalizzato, dei capelli. Il gesto magistralmente risolto della ciotola sotto l'ascella che nel momento della presa determina lo spostamento del muscolo del bicipite del Santo fanciullo è una straordinaria prova di conoscenza anatomica, degna di un grandissimo scultore.

La scelta invece di non riproporre il dito indice della mano destra, verosimilmente puntato verso il cartiglio del piccolo Profeta a stimolare così l'attenzione del riguardante, è stata dettata dal fatto che il dito che appare nella documentazione fotografica non era quello originale, ma reinventato: sarebbe stato quindi criticabile riproporre un indice di pura fantasia.