L’Apollo del Belvedere
L’Apollo del Belvedere

L’Apollo del Belvedere

Restauro in equilibrio tra tecnologia e filologia

15 ottobre 2024
Braccio Nuovo - in presenza e in diretta streaming

Dopo quasi cinque anni, torna visibile al grande pubblico l’Apollo del Belvedere, una delle sculture più illustri e celebrate delle collezioni pontificie. La Direzione dei Musei Vaticani e dei Beni Culturali è lieta di presentare oggi il progetto di studio e di restauro coordinato dal Reparto Antichità Greche e Romane ed eseguito dal Laboratorio di Restauro Materiali lapidei in collaborazione con il Gabinetto di Ricerche Scientifiche. Il complesso e delicato intervento - reso possibile grazie al generoso sostegno dei Patrons of the Art in the Vatican Museums - ha risposto alla sfida di restituire un saldo equilibrio all’Apollo senza pregiudicarne la meravigliosa armonia.

La statua, scoperta a Roma nel 1489 sul colle Viminale, raggiunse il Vaticano tra il 1508 e il 1509 per volontà del pontefice Giulio II che stava allestendo il Cortile delle Statue in Belvedere con un composito programma iconografico, incentrato sulle origini mitiche di Roma antica. All’epoca l’Apollo doveva essere integro, mancante solo della mano sinistra e delle dita della mano destra, ma già nel 1511 si ha notizia dell’inserimento di un “ferro” nella statua, forse per l’ancoraggio alla parete di una delle nicchie del Cortile. Tra il 1532 e il 1533 venne eseguito l’intervento di restauro di Giovannangelo Montorsoli, il quale, scrive Vasari, «rifece il braccio sinistro che mancava all’Apollo». In realtà, le coeve incisioni dimostrano che l’intervento coinvolse anche la sostituzione dell’avambraccio destro e l’integrazione della sommità del tronco di albero sul quale appoggiava così il nuovo braccio.

Le numerose fratture che oggi si individuano sulla statua – plinto, tronco d’albero, caviglie, ginocchia, braccio destro e parti del mantello – sono l’esito della lunga vita della scultura, esposta all’aperto sin dalla scoperta e sottoposta a manomissioni e a movimentazioni anche di un certo impegno, come quella napoleonica a Parigi (1798-1815) e quella più recente, ma purtroppo non indolore, per le mostre organizzate negli Stati Uniti d’America (1983).
Dopo aver esaminato diverse soluzioni, l’attuale fragilità della statua ha imposto la scelta di riproporre un sostegno, come già deciso da Antonio Canova, tecnologicamente avanzato: l’elemento posteriore in fibra di carbonio, ancorato al basamento, utilizza esclusivamente fori e incassi già esistenti ed è in grado di ridurre di circa 150 kg. il peso che grava sulle fratture più delicate. Il tiraggio effettuato dalla barra attenua inoltre lo sbilanciamento del baricentro verso il braccio sinistro che, proteso in avanti, è anche fortemente appesantito dal mantello.
La postura di uno slanciato Apollo saettante, scenografica e ben attuabile nel bronzo originale – risalente al 330 a.C., forse opera dell’artista ateniese Leochares – risulta invece una soluzione piuttosto ardita nel marmo. Forse è per questo che non ci sono pervenute altre repliche fedeli di tale capolavoro della bronzistica greca sebbene in età romana dovesse esistere una tradizione copistica.

Uno straordinario ritrovamento negli anni Cinquanta del secolo scorso permise di recuperare tra le rovine del palazzo imperiale di Baia, a nord di Napoli, centinaia di frammenti in gesso appartenuti a un’officina che possedeva calchi tratti direttamente dagli originali capolavori della bronzistica greca del V e del IV secolo a.C., grazie ai quali poteva eseguire fedeli copie in marmo per la ricca committenza dell’area flegrea. Tra questi frammenti in gesso venne riconosciuta anche la mancante mano sinistra dell’Apollo del Belvedere. È sembrato opportuno cogliere l’occasione del presente restauro per restituire al dio saettante la mano “originale” inserendo, al posto di quella del Montorsoli, un calco del “calco di Baia”: il gesto è diventato più naturale, la mano proporzionata e leggera.
Un altro dardo è stato lanciato e la comunità scientifica potrà giudicare la bontà di un esperimento filologico, comunque del tutto reversibile.