Arte e Rivoluzione a Roma
Arte e Rivoluzione a Roma

Arte e Rivoluzione a Roma

Città e patrimonio artistico nella Repubblica Romana (1798-99)

Giovedì 11 dicembre 2014, ore 16.00
Sala Conferenze, Musei Vaticani

L'ultimo appuntamento del 2014 con il ciclo di conferenze Il Giovedì dei Musei sarà dedicato alla presentazione del volume di Pier Paolo Racioppi "Arte e Rivoluzione a Roma. Città e patrimonio artistico nella Repubblica Romana (1798-99)", Artemide Edizioni. L'incontro, che si terrà alle ore 16.00 di giovedì 11 dicembre presso la Sala Conferenze dei Musei Vaticani, sarà introdotto dal professor Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani, e vedrà avvicendarsi al tavolo dei relatori Maria Antonietta De Angelis, già responsabile dell'Archivio Storico dei Musei Vaticani, e Michela di Macco, professoressa di Storia dell'Arte Moderna all'Università Sapienza di Roma.

Segue un estratto dell'intervento dell'autore Pier Paolo Racioppi:

Nel febbraio 1798 lo Stato Pontificio, piegato dall'armata francese, fu costretto a cedere la sua millenaria eredità politica, religiosa, simbolica e materiale ad una repubblica imposta con la forza ma assecondata con impegno civile da molti dei neoeletti politici romani, al debutto in questa breve ma appassionata avventura politica. Fin dai primi mesi che seguirono il trasferimento coatto di Pio VI in Francia, il governo della Repubblica Romana si trovò a gestire le complesse procedure di incameramento e vendita delle proprietà di numerosi enti religiosi, inclusi conventi e relative chiese, messe in atto per far fronte alla crisi economica e alle gravose contribuzioni imposte dai Francesi.

Per il patrimonio artistico ecclesiastico si prospettarono due destini opposti: la vendita all'asta di quadri, arredi, marmi, libri o il ricovero nel Museo Nazionale in Vaticano di quei beni che fossero stati "stimati preziosi" da una commissione di esperti.
A quel tempo i Musei Vaticani erano già stati spogliati delle opere più celebri a seguito del Trattato di Tolentino, stipulato nel 1797 tra la Francia e la Santa Sede, che aveva imposto la consegna di cento capolavori di chiese e musei nonché di cinquecento manoscritti: il Laocoonte, l'Apollo del Belvedere del Museo Pio Clementino, i quadri di Reni, Poussin, Guercino della Pinacoteca di Pio VI, la Trasfigurazione di Raffaello da San Pietro in Montorio erano già partiti per Parigi, con destinazione il Museo del Louvre. Il Museo Nazionale repubblicano, o per meglio dire la Pinacoteca Nazionale repubblicana, data la pressoché esclusiva presenza di dipinti, dovette essere allestito in ambienti di non facile identificazione, forse corrispondenti, almeno in parte, con quelli della Pinacoteca di Pio VI (attuale Galleria degli Arazzi) depauperata sia dai commissari francesi sia dalle truppe napoletane durante l'occupazione lampo di Roma tra il novembre ed il dicembre 1798. Il Museo Nazionale nasceva animato da ideali repubblicani con il dichiarato obbiettivo di tutelare opere "di classici autori che interessano moltissimo all'istruzione pubblica". Venne pertanto recepita anche a Roma quell'idea di museo che in Francia J.-L. David aveva paragonato a una "grande scuola", dove i maestri avrebbero condotto gli allievi e dove il padre avrebbe accompagnato il figlio, secondo l'idea illuministica della funzione educativa esercitata dalle arti per la rigenerazione dei costumi e della morale.

Questo intento educativo divenne palese con l'arrivo in Vaticano anche di opere di chiese che erano rimaste aperte al culto durante la Repubblica, come le tele di Caravaggio e di Annibale Carracci da Santa Maria del Popolo. Si intendeva in questo modo creare una pinacoteca che raccontasse, nel modo più completo possibile, la storia dell'arte italiana ed europea attraverso capolavori, in un arco cronologico compreso tra Leonardo da Vinci e Pompeo Batoni.
I politici repubblicani si adoperarono, inoltre, per vincolare i beni ritenuti di valore storico e artistico, istituendo a tale scopo un catalogo degli oggetti nazionalizzati, di chiara ispirazione francese, novità assoluta nella storia della legislazione di tutela artistica di Roma.

Alla luce delle vicende emerse da queste ricerche è possibile pertanto rivedere il giudizio storico tendente a liquidare la Repubblica Romana come esclusivo momento di caotiche dispersioni di tesori artistici, di saccheggi, della salita alla ribalta di speculatori e di artisti travestitisi opportunisticamente da giacobini. L'esperienza repubblicana, malgrado la sua brevità e la sua successiva damnatio memoriae, avrebbe lasciato comunque il segno: molti dei provvedimenti adottati dalla Repubblica, in particolare sotto il profilo legislativo, incluso quello della tutela del patrimonio artistico, sarebbero stati recepiti dai più avveduti amministratori del restaurato governo pontificio di Pio VII.