Incontri tecnici di restauro II
Incontri tecnici di restauro II

Incontri tecnici di restauro II

Giovedì 9 dicembre 2010, ore 16.00
Sala Conferenze, Musei Vaticani

Il secondo appuntamento de "Incontri tecnici di restauro" si articola in due conferenze scientifiche: la prima "Il restauro del pavone in bronzo dorato dei Musei Vaticani: reversibilità dell'intervento e studio delle tecniche esecutive di un bronzo romano" è a cura di Flavia Callori e di Chiara Omodei Zorini, rispettivamente Responsabile e Restauratrice del Laboratorio di Restauro Metalli e Ceramiche dei Musei Vaticani. Segue un estratto della conferenza.

"All'interno del Cortile della Pigna dei Musei Vaticani, ai due lati della fontana omonima, dal 1704 vennero disposti simmetricamente due pavoni, oggi collocati all'interno del Braccio Nuovo per ragioni conservative e sostituiti nella storica sede espositiva da due copie in bronzo non dorato.

L'opera in lega di rame dorato, del Dipartimento di Arti Classiche dei Musei Vaticani, oggetto dell'attuale intervento di restauro, viene così tradizionalmente percepita come una "coppia di pavoni gemelli" affrontati ed esposti al pubblico in uno dei più suggestivi spazi dei palazzi vaticani. La realizzazione di questi due pavoni sembra risalire al II secolo d.C., quale parte di una serie decorativa di molteplici pavoni disposti, al di sopra di una cancellata in bronzo, lungo il perimetro della Mole Adriana, l'odierno Castel S Angelo.

Ciononostante, i primi documenti storici che ne attestino l'esistenza risultano essere di dieci secoli posteriori (i Mirabilia Urbis Romae, 1140-1143) e l'ipotesi non trova riscontro nei testi storici successivi né nei documenti grafici coevi.

Lo studio dei procedimenti di esecuzione del pavone in corso di restauro ha offerto quindi l'occasione di fornire un fondamento tecnologico a questa ipotesi, nella ricerca di indizi di una produzione bronzistica "seriale" (indiretta) delle due statue, tale da potere ammettere l'esistenza di un numero superiore rispetto a quello a noi pervenuto. Da un punto di vista tecnologico ciascun pavone risulta originariamente composto dalla giunzione di 7 elementi fusi separatamente e riuniti in una fase successiva del processo lavorativo. Le operazioni di restauro trovano però a più riprese menzione nelle fonti storiche ove, di volta in volta, si narra come i pavoni divenissero oggetto di razzie, spolio o ulteriori atti di rappresaglia, in quanto opere simboliche della cittadinanza romana.

Non ultimo nel 1704 viene affidato al Garofalino, detto "l'ottonaro", l'incarico di restaurare il pavone in esame con il risarcimento della completa ala destra, parte della sinistra, delle due zampe e parte del collo (alla giunzione con il corpo dell'animale); è quest'ultima integrazione che è venuta parzialmente a mancare a seguito delle frequenti movimentazioni e trasporti, connessi al prestito delle celebri opere. Elaborare un adeguato progetto di intervento, nel rispetto dell'autenticità materica dell'opera e completa reversibilità del vincolo, ha richiesto un considerevole studio, sia delle condizioni conservative che delle soluzioni di intervento percorribili, conformemente alla condivisa teoria del restauro di Cesare Brandi. Il progetto del restauratore Carlo Usai a favore di un supporto interno scomponibile in resina epossidica, fibre di vetro e perni di acciaio, ha offerto la soluzione maggiormente rispondente ai criteri richiesti di reversibilità, praticabilità ed economicità, nel completo rispetto dell'opera."

La seconda conferenza "Il restauro di cinque armature giapponesi del Museo d'Arte Orientale di Venezia: un progetto conservativo per complessi manufatti polimaterici" è a cura di Serena Bidorini, Restauratrice della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale di Venezia. Segue un estratto della conferenza.
"La collezione del Museo d'Arte Orientale di Venezia conta 52 armature giapponesi da parata del periodo Edo (1600-1868) che rappresentano la dotazione difensiva dei Samurai di alto rango. Questi manufatti polimaterici sono costituiti prevalentemente da metalli, tessuti, lacca urushi e molteplici materiali organici riccamente decorati con parti articolate da legature in fettucce di seta e singoli "indumenti" rinforzati da maglia metallica. Le armature furono acquistate nel 1889 dal principe Enrico di Borbone a cui si deve tutta la collezione che, nel 1928, divenne il primo museo di arte orientale dello Stato italiano. Le condizioni di conservazione erano molto precarie per la natura stessa dei materiali e la lunga esposizione senza alcuna protezione dalla luce e dalla polvere. Nel 2003 è stato possibile pianificare un impegnativo intervento di restauro con un team di specialisti che si dedicassero ai diversi materiali presenti. L'intervento, che ha interessato cinque armature complete, è stato coordinato da una restauratrice interna al museo coadiuvata da due restauratrici esterne; a fine restauro, nel 2007, è proseguita la progettazione della nuova struttura espositiva conclusa nel 2010 con l'allestimento di un'armatura."

La metodologia è stata impostata su criteri prettamente conservativi, tali da soddisfare le seguenti priorità:

  • consolidamento dei materiali più fragili,
  • pulitura calibrata sulla base delle effettive possibilità fisicamente sopportabili dai  vari materiali,
  • stabilizzazione dei fenomeni corrosivi e protezione dei metalli,
  • integrazioni e sostituzioni limitate a garantire il collegamento fra le parti e la  sicurezza nella movimentazione.

La fase di studio preliminare, metodicamente applicata su ogni pezzo, è stata fondamentale per stabilire la sequenza degli smontaggi parziali o totali e l'ordine cronologico delle operazioni, in modo da coordinare le diverse lavorazioni ed evitare disomogeneità nei risultati."